sabato 20 febbraio 2016

La Maledizione della Nona: Beethoven e la sua Sinfonia n. 9 in Re minore

Tutti, o quasi, conoscono il club 27, espressione con cui il giornalismo designò l’apparente maledizione che sembrava, e sembra, colpire giovani artisti, specialmente nell’ambito della musica rock, facendoli morire all’età di 27 anni. I più famosi tra questi sono sicuramente Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Brian Jones, che furono anche coloro che diedero l’ispirazione per la coniazione del termine Club 27, essendo deceduti in un breve arco di tempo che va dal luglio del 1969 al luglio del 1971. Altri cantanti e musicisti come Kurt Cobain, leader dei Nirvana, Robert Johnson, Cecilia, Chris Bell, Jean-Michel Basquiat e, più recentemente, Amy Winehouse (morta due soli mesi prima del suo ventottesimo compleanno).
Se tutti hanno ancora sentito parlare del Club 27, in pochi, però, conoscono la Maledizione della Nona. Superstizione nata a cavallo tra il 1800 e il 1900, la Maledizione della Nona indicava la cattiva fama legata alla Nona Sinfonia di vari compositori romantici e post-romantici, quali Mahler, Beethoven, Schubert, Bruckner e Dvorák, che sarebbero deceduti, appunto, dopo la composizione di tale ultima sinfonia o, addirittura, prima ancora di compilarla.
Parlando di tale superstizione, Arnold Schönberg, compositore austriaco, scrisse:
È come se la Nona fosse un limite. Chi vuole superarla deve morire. Sembra come se qualcosa ci venisse comunicato attraverso la Decima, che noi adesso non possiamo conoscere, per il quale non siamo pronti. 
Secondo lo stesso Schönberg, la credenza relativa alla maledizione della nona sinfonia, cominciò dopo la morte di Mahler che dopo aver scritto il Das Lied von der Erde, ovvero la sua nona sinfonia, iniziò a lavorare sulla decima, lasciandola però incompiuta, morendo dopo averne scritto solo il primo movimento. Qualcosa però già si muoveva. Mahler stesso credeva nella maledizione, ma essendo riuscito a completare la nona e a iniziare la decima sinfonia, credeva di essere scampato allo stesso destino che era toccato a Beethoven e a Bruckner prima di lui.
In effetti Beethoven fu proprio il primo a morire poco dopo aver composto la sua nona sinfonia o sinfonia corale. Iniziata nel 1822 e terminata nel 1824, quindi solo tre anni prima della morte di Beethoven stesso, l’opera 125 del compositore tedesco venne presentata per la prima volta il 7 maggio 1824 al Theater am Kärntnertor di Vienna. Assieme alla quinta sinfonia o sinfonia del destino e alla sesta sinfonia o sinfonia pastorale, la nona è in assoluto la composizione di Beethoven più conosciuta. Ciò che la rende ancora più geniale rispetto alle precedenti, tuttavia, è il fatto che, quando la compose, Beethoven era già totalmente sordo. Il compositore aveva passato quasi metà della sua vita a combattere contro la crescente sordità. Caduto in depressione per via della malattia, aveva tentato addirittura il suicidio. A permettergli di continuare a lavorare, fu la sua grande passione per la musica e la sua pignoleria, che lo portò a comporre molte meno opere rispetto a altri compositori famosi, ma con melodie più ricercate, tecnicamente più perfette. Soprattutto la necessità di comunicare. 
La sinfonia venne inizialmente commissionata nel 1817 dalla Società Filarmonica di Londra e, nel primo abbozzo, chiamata Allemande. La nona sinfonia non nacque a caso, ma venne creata, in parte, a partire da altri brani di Beethoven. Strutturalmente la nona sinfonia non è, come alcuni pensano, un esperimento, tra l’altro molto ben riuscito, realizzato da Beethoven. Già nel 1808, quindi più di 10 anni prima, il compositore aveva prodotto un concerto per pianoforte, la Fantasia Corale, realizzato su due movimenti: il primo per il solo pianoforte, mentre nel secondo si aggiungevano l’orchestra e, nella parte finale, un coro e dei solisti che cantavano un tema precedentemente suonato strumentalmente. In questo modo veniva creato un culmine sufficientemente maestoso dell’opera. Beethoven fece lo stesso con la nona sinfonia: introdusse la medesima melodia, che poi sarebbe stata cantata, nel finale del quarto e penultimo movimento. Mentre il quinto, l’ultimo, oltre che dell’interpretazione orchestrale avrebbe goduto dell’interpretazione tenuta da un coro di soprani, contralti, tenori e bassi e da quattro solisti: un soprano, un contralto, un tenore e un baritono.
La nona sinfonia è composta appunto da cinque movimenti.
Il primo movimento, allegro ma non troppo, un poco maestoso si apre su un tremolo di archi, da cui nasce un tema musicale molto potente e solenne, su cui si basa l’intero movimento, che si chiude con un tono in Re maggiore, invece che in Re minore come nell’incipit e come suggerisce il nome stesso della sinfonia.


Il secondo movimento è invece quello che, musicalmente, viene definito uno scherzo, una sorta di minuetto, ma molto più agile e veloce. Normalmente lo scherzo costituisce il terzo movimento di una sinfonia, ma in alcuni casi prende il posto del secondo movimento, soprattutto quando si tratta di dover alleggerire la composizione, come nel caso della nona sinfonia di Beethoven. Il secondo movimento, anch’esso in Re minore, presenta un tema di apertura somigliante al primo movimento e introduce l’assolo di timpani. Il suo moto vivace, fa da stacco perfetto tra la maestosità del primo movimento e il tempo adagio e cantabile del terzo.


Quest’ultimo, allo stesso modo, spegne un po’ l’impetuosità dei movimenti precedenti, preparando l’ascoltare al riemergere della solennità nell’ultimo movimento, il famoso finale corale che riprende e rielabora, introducendo le voci, lo schema della Sinfonia stessa. 


Il quarto movimento, infatti, inizia, con una lenta introduzione e con gli archi che riproducono il tema principale, poi ripreso anche dalle voci, che continuano nel secondo pseudo movimento, nello stile alla turca. Di nuovo vi è un momento di lentezza che inizia con un andante maestoso e si finisce con un allegro energico che torna sui temi del primo e del terzo movimento.


La nona sinfonia si stabilisce come il capolavoro assoluto tra le composizioni di Beethoven e, forse, tra tutta la musica classica, non solo per la genialità del compositore stesso, ma anche perché Beethoven, per anni, cercò di musicare il famoso Inno alla Gioia di Schiller, senza mai ottenere un risultato che potesse veramente convincerlo. Beethoven continuò a fare tentativi e proprio quell’ultimo studio, che entrò a far parte della nona sinfonia, proprio quell’ultimo tentativo realizzato senza più la facoltà di poter stabilire quanto davvero potesse essere valido il suo lavoro, fu quello giusto, quello che egli scelse per comunicare il suo desiderio che nel mondo esistesse una fratellanza universale. Beethoven, infatti, non scelse la poesia di Schiller a caso. L’Inno alla gioia era un’ode non a un emozione intesa come semplice spensieratezza, ma a un sentimento raggiungibile solo tramite un percorso graduale, raggiungibile solo quando l’uomo riesce a liberarsi dall’odio e dalla cattiveria.

Nel 2001 lo sparito della nona sinfonia e il testo della poesia di Schiller, integrato da Beethoven per adattarsi alla sua composizione, sono stati dichiarati Memoria del mondo, entrando a far parte del programma dell’Unesco che si propone di tutelare documenti e archivi storici.

giovedì 15 ottobre 2015

Voci all'Opera

Quando, nel 1853, Verdi mise in scena per la prima volta La Traviata, sul palco del teatro La Fenice di Venezia, in occasione del Carnevale, lo spettacolo fu un fiasco totale. A contribuire al disastro vi fu l’argomento trattato nell’opera, che traeva spunto da una vicenda realmente accaduta che aveva scosso non poco gli animi della società. Tuttavia, ciò che principalmente influì sulla pessima riuscita di quella prima teatrale fu l’interpretazione da parte di cantanti mediocri. L’opera aveva come protagonista una prostituta, Violetta, innamorata dell’affascinante e ricco Alfredo con il quale decide di convivere, per poi sacrificare la sua felicità per amore e per il buon nome della famiglia di lui. Nonostante la società veneziana non si facesse scrupoli nel contravvenire alle regole della morale del tempo, soprattutto in occasione del Carnevale, nessun cantante, tra i migliori, accettò di partecipare alla messa in scena dell’opera verdiana. Per questo, il compositore si vide costretto ad affidare le parti a interpreti dalle capacità canore scontate e prive di originalità. 
Un anno dopo, forte della sua certezza che La Traviata potesse essere e diventare una grande opera, Verdi tornò in quella stessa città, in quello stesso teatro, con la stessa opera, ma con cantanti differenti. Il risultato fu strabiliante. Ben presto, La Traviata divenne una delle opere più conosciute e interpretate in Italia e all’estero.


Sul successo della rappresentazione teatrale di un’opera, incidono vari elementi: l’orchestra, intesa come numero di strumenti e dei singoli elementi, i costumi, le scenografie, ma, più di tutto, i cantanti stessi. La motivazione è semplice: l’opera si basa sul canto. Non per niente, in relazione all’eccellenza dell’opera italiana si parla di “bel canto”. La musica accompagna, crea atmosfera e attesa, partecipa nel suscitare emozioni, ma, in definitiva è il canto a risvegliare rabbia, sgomento, gioia, tristezza e tutta la gamma di sentimenti umani. Non tanto le parole, che nella maggior parte dei casi, risultano quasi incomprensibili, ma per la voce stessa, lo strumento che sovrasta tutti gli altri, l’unico in grado di catturare e diffondere in senso pieno ciò che si cela dietro le note che formano la composizione. Si potrebbe ricorrere a mille esempi per dimostrarlo, scegliere arie operistiche in cui chiaramente, senza la voce o le voci, l’effetto non sarebbe il medesimo. Ho deciso di utilizzarne una, riportata nel video qui sopra, che rappresenta la parte finale proprio della Traviata di Verdi, un momento carico di angoscia, in cui la musica interviene a sottolineare la disgrazia solo nelle note conclusive, con un crescendo che lascia sgomenti e impotenti. Ma nei quasi cinque minuti che precedono questo epilogo musicale, è la voce di Violetta in primis, e di Alfredo e suo padre in secondo luogo, a fare da guida, da faro per il cuore in balia di onde fatte di tristezza, inquietudine, compassione e desiderio di fare qualcosa che, si sa, non è possibile fare. La voce di Violetta Valery sottolinea la gravità della situazione, su una musica dai toni gravi, e conduce ad uno spiraglio di luce con un’ultima nota di speranza e apparente felicità, che termina e si chiude nell’esatto momento in cui, vinta dalla tisi, anche la voce della protagonista si spegne per sempre. 

Analizzando da vicino le voci liriche, diventa chiaro quanto il loro ruolo sia fondamentale. Tornando all’esempio della Traviata, sempre la parte finale dell’opera può farci intendere l’importanza della voce, a dispetto della musica, dei testi e della trama stessa che a volte appare surreale. Se proviamo a riascoltare le ultime battute di una Violetta Valery morente con la testa invece che con il cuore, a partire dal minuto 4.20 del video, il nostro senso logico ci farebbe rendere conto dell’assurdità della situazione: la cortigiana è devastata dalla tisi, una malattia che colpisce i polmoni. Fino a poco prima era in preda agli spasmi e, ora, improvvisamente, riesce a condurre la voce all’estremo. Chiaramente, ciò, nella realtà, non sarebbe possibile, ma nell’Opera sì. Perché l’Opera è emozione, arriva al cuore, spesso tralasciando la ragione e qualsiasi ascoltatore troverebbe inconcepibile l’interpretazione della morte di Violetta con una voce gracchiante e scandita dagli ultimi colpi di tosse. Il Melodramma è, dunque, l’unica forma artistica in cui il reale sarebbe più scioccante del fantasioso, perché la voce riesce a cancellare il banale e rendere tutto possibile.

Un altro aspetto che ci aiuta a capire la sacralità delle voci è che senza di esse non esisterebbero i personaggi. Niente personaggi, niente trama e quindi niente opera. Per capire questo concetto è sufficiente cercare, anche in internet, un libretto operistico a caso, aprirlo nelle prime pagine e cercare la lista di personaggi. Accanto ad ognuno di essi, compare una categoria: soprano, mezzosoprano o contralto per le donne; tenore, baritono o basso per gli uomini. Per semplificare, riporto di seguito la lista degli interpreti della Traviata stessa:

Violetta Valéry: Soprano
Flora Bervoix: Mezzosoprano
Annina: Mezzosoprano
Alfredo Germont: Tenore
Giorgio Germont: Baritono
Gastone de Letorières: Tenore
Barone Douphol: Baritono
Marchese d'Obigny: Basso
Dottore Grenvil: Basso
Giuseppe, servo di Violetta: Tenore
Domestico di Flora: Basso
Commissionario: Basso

Perché l’elenco dei personaggi può essere utile a dimostrare l’importanza delle voci nell’ambito operistico? Perché un tempo, nel periodo di massimo splendore della lirica, ogni voce corrispondeva ad un personaggio. Così, ad esempio, i protagonisti erano sempre soprano o tenori, i personaggi secondari mezzosoprano o baritoni, mentre quelli che fungevano quasi da comparse erano contralti o bassi. Con il tempo, alcune voci cominciarono a indicare addirittura determinate categorie, con rare eccezioni: così, giusto per fare un esempio, donne di dubbia fama o streghe erano interpretate da mezzosoprano, come nel caso di Flora Bervoix nella Traviata. 

L’importanza di tutto ciò, della voce in generale e di ciò che rappresentava e poteva fare in un’opera, divenne tale che, nel caso dei soprano, si crearono delle sottocategorie adatte a determinati personaggi o determinate prove di canto. Cominciarono così a distinguersi tre tipi differenti di soprano:
Soprano leggero
Soprano drammatico
Soprano lirico.

Queste sottocategorie, spiegate e identificate nel video riportato in fondo all’articolo, fecero sì che vi potesse essere un più ampio utilizzo della voce potente ed estasiante dei soprano. Come detto prima, queste, di norma, sarebbero state utilizzate per parti da protagoniste. In alcuni casi, la varietà di voci appartenenti alla stessa categoria ha permesso di utilizzare i soprano per parti normalmente dedicate ai mezzosoprano. Ad esempio, secondo il libretto originale del Zauberflöte (Il flauto magico) di Wolfgang Amadeus Mozart, tutti i personaggi femminili, a parte la Terza Dama, avrebbero dovuto essere interpretati da soprano, anche la Regina della Notte, per cui si utilizza, solitamente, un soprano leggero. Lo stesso si può dire della Carmen di Bizet, in cui, secondo il libretto la protagonista dovrebbe essere una mezzosoprano. Nonostante ciò, nell’arco del tempo, venne interpretata da grandi soprano, come Maria Callas.


Il discorso delle voci liriche, tanto complesso quanto affascinante, potrebbe proseguire all’infinito, non facendo altro che seguitare a confermare la bellezza, la particolarità e il calore della voce umana.


venerdì 9 ottobre 2015

L'Opera in Festa a Brescia




Erano le 6 del mattino di sabato 19 settembre. L’aria fresca delle prime luci dell’alba scendeva dal Colle Cidneo, costringendo le numerose persone radunate nell’antico Teatro Romano a stringersi nei loro golfini. Una folla di coraggiosi, raccolti attorno ad un palco che avrebbe ospitato un concerto speciale. Era il giorno della Festa dell'Opera, a Brescia e alle 6.30 un piccolo gruppo di cantanti lirici, ospiti in città, avrebbe dato il via agli eventi e alle manifestazioni della giornata, alternandosi sul palco dell'anfiteatro e unendosi poi agli spettatori per la colazione a base di caffè e brioches. 

Ci si aspettava un numero esiguo di persone, alle prime luci dell'alba, in quel sito divenuto Patrimonio dell'Unesco già da qualche anno. La folla intervenuta a riempire il teatro a cielo aperto ha invece sorpreso tutti: giornalisti, organizzatori e cantanti stessi, che pervasi da un nuovo vigore hanno dato il meglio di sé. Il numero di persone accorse a questo evento gratuito è stato un preludio di ciò che sarebbe accaduto durante tutta la giornata, soprattutto nelle ore serali.

Gli eventi si sono susseguiti in mattinata e nel pomeriggio, emozionando soprattutto i dipendenti di due fabbriche bresciane, divenute teatri improvvisati, e i pazienti delle strutture ospedaliere. Concerti a sorpresa e totalmente improvvisati hanno lasciato a bocca aperta cittadini e turisti, come gli spettacoli tenuti sui mezzi pubblici. In Piazza Tito Speri, il cantante Omar Kamata è uscito dal negozio di un barbiere intonando "Largo al Factotum", aria tratta dal "Barbiere di Siviglia", facendo sorridere e divertire i passanti. Nel piazzale della Freccia Rossa, il coro Calliope ha interpretando il "Va Pensiero" del Nabucco, emozionando molte persone, alcune delle quali si sono unite al canto. Ben seguita è stata l'Opera Jukebox, una manifestazione in cui era possibile richiedere l'interpretazione di un'aria a scelta, cantata da Omar Kamata e Anna Bordignon. Le cantanti Masha Salimi e Lisa Sasso hanno invece accompagnato i bresciani nel loro consueto aperitivo. Indescrivibile la folla che si è radunata fuori dal Teatro Grande, per assistere nella sala chiamata Ridotto allo spettacolo ridotto, appunto, ovvero privo dei recitativi ma comprendente tutte le arie, della Traviata verdiana. L'amore per l'Opera si è visto anche da quanti genitori hanno deciso di accompagnare i propri figli non solo a questi spettacoli, ma anche a quello tanto atteso riservato ai più piccoli, ideato per far conoscere loro, in maniera semplice e divertente, alcuni tra i personaggi più cattivi della storia dell'Opera.

Gli spettacoli più impegnativi e attesi sono indubbiamente stati quelli serali. La città è stata divisa in tre zone. Sul palco di Largo Formentone, accanto al palazzo della Loggia, si sono susseguiti concerti in stile pop, jazz e swing, aventi una scaletta basata sulle maggiori arie operistiche. Il palco posto nel cortile del Broletto, ha invece visto l'alternarsi di musicisti impegnati a interpretare arie celebri di Verdi, Donizetti e Leoncavallo, anche con il solo uso di strumenti, creando, per un momento, un'atmosfera rilassante e magica dai suoni soul


La zona più gettonata è stata senz'altro Piazza del Foro, dove un piccolo palco era stato montato per ospitare, principalmente, il concerto di tre tenori e di una soprano, accompagnati da un pianista. La folla, qui, era immensa, difficile trovare un posto a sedere, ma l'entusiasmo di tutti coloro che sono accorsi per la Festa dell'Opera, ha davvero preso il sopravvento quando, intorno alle 22.30, si è cominciato ad allestire l'ultimo spettacolo, quello di chiusura. Per questo, non c'è stato bisogno di montare alcun palco. Cantanti e musicisti si sono posizionati all'interno del Capitolium, l'antico tempio romano che chiude Piazza del Foro. I cantanti Ivan Inverardi, Larissa Wissel, Raffaella Lupinacci e Marco Frusoni, accompagnati dalla Lyricopera Ensemble, hanno chiuso i festeggiamenti con le arie più note del Rigoletto di Verdi, creando un'atmosfera magica, fatta di luci, colori, suoni e, soprattutto, voci che hanno rivelato la grandezza di questa forma di musica e di arte che aspetta solo di essere riconosciuta come patrimonio culturale non solo italiano, ma del mondo intero. 

venerdì 18 settembre 2015

In arrivo la Festa dell'Opera a Brescia

Mancano solo poche ore a uno dei festival più importanti della città di Brescia che, per un giorno, avrà come unica protagonista proprio l’Opera Lirica. Da qualche anno si ripete, più o meno nello stesso periodo, una manifestazione che ha come scopo quello di portare la musica lirica fuori dai teatri per farla scorrere nelle strade, fra i palazzi, nelle fabbriche e negli ospedali, sui mezzi pubblici e nelle stazioni della metropolitana, avvicinandola al vivere quotidiano, conducendo vecchi e nuovi ascoltatori fra note non sempre conosciute. E, come ogni anno, anche questa volta sarà l’occasione per dare il via alla stagione operistica del Teatro Grande di Brescia che aprirà le porte al pubblico il 3 ottobre, alternando sul suo palco opere di Puccini, Mozart, Rossini e Verdi, fino alla prossima primavera.
Il programma, reso pubblico solo settimana scorsa, prevede ogni sorta di spettacolo. “La Festa dell’Opera torna a invadere Brescia e a coinvolgere decine di migliaia di persone. la quarta edizione vedrà la partecipazione di centinaia di artisti e toccherà più di 50 luoghi della città e sarà dedicata al melodramma italiano, celebrando l’Opera quale prodotto di eccellenza nazionale. una festa colta e popolare che per un’intera giornata trasformerà Brescia in un palcoscenico a cielo aperto”. Così recita la descrizione della manifestazione riportata sul programma ufficiale, scaricabile in formato pdf direttamente dal sito del Teatro Grande. Per l’occasione, bar e ristoranti presenteranno eventi estemporanei e offriranno menù e piatti dedicati al tema dell’Opera. 
La Festa dell’Opera prenderà il via alle 6.30 del mattino, aprendosi nell’affascinante cornice del Teatro Romano, il più antico della città, con un concerto eseguito direttamente dai cantanti lirici della Festa dell’Opera, per poi passare a concerti in fabbriche, cooperative sociali, mense e chiese. Anche questa edizione ha dato, inoltre, la possibilità ad alcune famiglie di ospitare a pranzo i cantanti della Festa. Nel pomeriggio la Festa del’Opera si sposterà in periferia con macchine che porteranno la musica ovunque, interventi a sorpresa sui mezzi pubblici e un concerto dedicato ai pazienti del reparto di Oncologia degli Spedali Civili. 
La sera, sarà possibile scegliere come e dove seguire le ultime ore della celebrazione. Il centro storico sarà, infatti, diviso in tre aree: la zona rossa, situata tra via San Faustino e Piazza Loggia, ospiterà una speciale cena su un prato, accompagnata da arie d’opera, anche rivisitate in chiave pop e jazz. La zona avorio, localizzata tra Palazzo Broletto, Piazza del Duomo e lo stesso Teatro Grande, ospiterà tutti coloro che vorranno ascoltare arie celebri di Mozart, Rossini, Donizetti, Verdi e Leoncavallo, oltre a dare la possibilità di assistere, direttamente nel Teatro, alla rappresentazione di un recital operistico con il cast de La Bohème, spettacolo inaugurale della Stagione Operistica 2015. Per finire, ci sarà una zona oro, creata in una delle piazze più antiche della città, Piazza del Foro, con la suggestiva cornice del Tempio e del Teatro Romano. Qui, sarà possibile ascoltare arie di Opere famose, rivisitate da quattro compositori contemporanei: Claudio Bonometti, Annachiara Gedda, Virginia Guastella e Orazio Sciortino. Subito dopo, il pianoforte di Antonio Ballista accompagnerà la magica voce di Lorna Windsor, interpretando “gli ultimi sospiri delle eroine del melodramma”. Nella zona oro, inoltre, si terrà il grand finale della Festa che si spegnerà allo scoccare della mezzanotte sulle notte del Rigoletto verdiano interpretato da Ivan Inverardi, Larissa Wissel, Raffaella Lupinacci, Marco Frusoni e la Lyricopera Ensemble

“Dall’alba alla mezzanotte, lasciati rapire dal fascino dell’Opera”. Questo lo slogan del Festival che, anche quest’anno, ha già attirato turisti da tutta Italia, ansiosi di farsi trasportare da voci surreali e musiche vibranti. 

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martedì 25 agosto 2015

Trama e libretto di un'opera: La Traviata



Divisa in tre atti e composta su libretto di Francesco Maria Piave, La Traviata di Giuseppe Verdi trae le sue origini dal romanzo, divenuto poi anche opera teatrale, La signora delle Camelie, scritto da Alexandre Dumas figlio.

Verdi scrisse quella che, forse, è la sua opera più celebre in appena quaranta giorni, permettendole di vedere la luce il 6 marzo 1853, quando venne presentata al teatro La Fenice di Venezia 1.

Protagonista dell'opera è Violetta Valery, giovane donna affetta dal mal sottile e conosciuta, in particolare, per la sua frivolezza nelle relazioni con l'altro sesso.

Di seguito i personaggila trama divisa in tre atti, mentre il libretto completo può essere letto e scaricato in formato pdf. qui.


PERSONAGGI

Violetta Valéry: Soprano
Flora Bervoix: Mezzosoprano
Annina: Mezzosoprano
Alfredo Germont: Tenore
Giorgio Germont: Baritono
Gastone de Letorières: Tenore
Barone Douphol: Baritono
Marchese d'Obigny: Basso
Dottore Grenvil: Basso
Giuseppe, servo di Violetta: Tenore
Domestico di Flora: Basso
Commissionario: Basso



ATTO PRIMO


La scena si apre in casa della protagonista. L'atmosfera è quella tipica che precede una festa: fiori e piante addobbano la stanza e i divani sono posti in modo tale da accogliere gli ospiti. Violetta Valery, nonostante la tragedia che la colpisce e la consuma giorno dopo giorno, appare come una donna piena di vitalità, contenta per il modo il cui conduce la sua vita: cogliendo l'attimo, prendendo ciò che di gioioso le viene offerto.
Tra gli invitati, si presenta anche Gastone, visconte de Letoteries, il quale porta con sè Alfredo Germont, segreto ammiratore di Violetta. Subito dopo il loro incontro, i due prendono parte ad un lieto brindisi, in seguito al quale, finalmente, la serata prende il via.
Improvvisamente, Violetta ha un mancamento e, desiderando restare sola per riprendersi, chiede agli invitati di trasferirsi in un altro salone. Alfredo, però, rimane, approfittando dell'occasione in cui si trova solo con lei per confessarle la sua ammirazione e il suo amore. Violetta, colpita dalla dichiarazione, in quanto sempre le era capitato di essere l'oggetto del desiderio di un uomo, ma mai del suo amore, dona ad Alfredo una camelia, dicendogli di riportarla a lei una volta appassita.


ATTO SECONDO

Per vivere il loro sogno d'amore, Violetta e Alfredo si sono trasferiti in una casa di campagna. da Annina, però, l'uomo viene a sapere che Violetta si è recata a Parigi per vendere gioielli e altri beni così da prolungare la loro vita assieme, dal momento che Alfredo è stato diseredato dal padre a motivo della sua scelta. Offeso, Alfredo parte per Parigi per tentare di sistemare questa questione,
Mentre lui si reca nella capitale, Violetta rientra a casa e, poco dopo, le fa visita Giorgio Germont, padre di Alfredo. In nome delle convenzioni e del buon nome della famiglia, Giorgio chiede a Violetta di lasciare il figlio e dimenticarlo. Le spiega che le conseguenze del loro gesto hanno colpito tutti in quanto la sorella di Alfredo, prossima al matrimonio, è stata lasciata dal fidanzato per via della scelta compiuta da Alfredo stesso. Violetta si vede, quindi, costretta a sacrificarsi per amore e rinunciare per sempre all'uomo che ama. 
Prima di andarsene, la donna scrive una lettera di addio ad Alfredo, ma quest'ultimo rientra proprio mentre lei sta ultimando la scrittura del biglietto. Notando in Violetta un velo di turbamento e tristezza, Alfredo la interroga, ottenendo in cambio parole d'amore che nascondono il prossimo congedo.
Violetta parte, quindi, per fare ritorno dal suo ex amante, il barone Douphol, mentre Alfredo riceve la lettera dalle mani di un domestico. Subito dopo entra in scena Giorgio, che lo convince a tornare con la famiglia, mettendogli davanti i problemi che la sua partenza ha creato.

La scena cambia. Violetta entra nella sa da gioco della casa dell'amica Flora Bervoix. Assieme a lei c'è il barone Douphol. Seduto al tavolo da gioco vi è, invece, Alfredo. Tra questi e il barone inizia uno scambio di battute piuttosto aspro. Finalmente viene annunciato l'inizio del banchetto, ma Violetta chiede ad Alfredo di parlargli in privato per chiarirsi. Quando la donna dice che il barone le ha chiesto di lasciare Alfredo proprio in nome dell'amore, Alfredo chiama indietro gli invitati e, davanti a tutti, apostrofa Violetta come prostituta, lanciando ai suoi piedi una borsa piena di denaro per i servigi a lui offerti. Violetta sviene e, prima che Alfredo compia altre azioni sconsiderate, Giorgio lo ferma, mentre il barone lo sfida


ATTO TERZO

Violetta è ormai stremata dalla tisi e, ancora di più, dal male segreto che le affligge il cuore. Quando giunge a visitarla, il medico dichiara a Annina che la donna ha ormai solo poche ore di vita. Mentre fuori imperversano i festeggiamenti per il Carnevale, Violetta riceve la visita di Alfredo che si getta tra le sue braccia chiedendole perdono. Frattanto, giunge anche Germont padre, che , preso dal rimorso, riesce a chiedere perdono per la sua richiesta che ha lacerato Violetta. 
Presa da una nuova crisi, nonostante il forte desiderio di avere ancora un futuro felice da vivere accanto ad Alfredo, Violetta saluta un'ultima volta il suo amato, spirando poi tra le sue braccia.



Lungi dall'essere un semplice dramma amoroso, La Traviata è una tragedia dagli ampi risvolti psicologici, un'opera innovativa, che unisce il romanticismo dell'epoca al desiderio di Verdi di creare qualcosa di nuovo, qualcosa che producesse un nuovo effetto nel pubblico. I suoi personaggi sono complessi e contraddittori, la società è rappresentata in modo realistico, ma con una chiave ironica. 
Non c'è quindi da sorprendersi che La Traviata si sia guadagnata, nei suoi 162 anni di vita, tanta fama e gloria.



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Tutte le immagini sono tratte dal web e raffigurano la rappresentazione dell'Opera svolta nel 2011 e nel 2013 presso l'Arena di Verona con scenografia di Hugo de Ana, così come il video.

lunedì 24 agosto 2015

Storia di un'opera: La Traviata



Il Libretto dell'opera

È forse l’opera verdiana più conosciuta, quella maggiormente apprezzata da un pubblico sempre più eterogeneo. Eppure, non fu sempre così per una composizione che, oggi, definiremmo fortunata.

Nata nel 1853, la Traviata costituì il più grande lavoro del noto compositore italiano Giuseppe Verdi. Non c’era alcuna storia da inventare, nessuno spazio temporale da scegliere. Solo riscrivere ciò che era già stato scritto da qualcun altro.

Un anno prima, nel febbraio del 1852, Verdi si era, infatti, recato a teatro, a Parigi, accompagnato dalla cantante Giuseppina Strepponi. Qui, assistettero all’opera teatrale "La signora delle camelie" 1, dramma scritto da Alexandre Dumas figlio, basandosi su un storia vera che, recentemente, aveva sconvolto la Parigi perbene. 



Lo spettacolo a cui assistette, colpì Verdi a tal punto che decise di rielaborarlo per trarne un melodramma di profondo valore emotivo, nonché pervaso da un estremo romanticismo che ha contribuito a renderlo tanto celebre. Fu così che, solo due mesi dopo aver messo in scena per la prima volta il suo Trovatore, Verdi si mise al lavoro, riuscendo a comporre, su libretto di Francesco Maria Piave, la nuova opera in 40 giorni, ultimandola agli inizi di marzo del 1853. Il 6 marzo di quell’anno, la Traviata fece il suo debutto in società attraverso una rappresentazione allestita, in occasione del celebre Carnevale, al teatro La Fenice di Venezia.

La locandina della prima a La Fenice di Venezia
Contrariamente a quanto succede oggi, la Traviata non fu accolta con urla, applausi e ovazioni. Verdi stesso la definì un fiasco. Tuttavia, tutt’altro che frustato per l’insuccesso, il compositore, in una lettera inviata a casa Ricordi, si espresse così: "Colpa mia o dei cantanti? 2 [...] Il tempo giudicherà”.



Certo che la sua Traviata meritasse il successo, Verdi attese pazientemente 14 mesi. Nel maggio 1854, l’opera tornò in scena, questa volta retrodatandone la trama si circa due secoli, sempre a Venezia, nel teatro San Benedetto. Quell’anno, non solo il popolo veneziano la accolse con entusiasmo, ma anche la stampa diede il suo completo consenso alla composizione del maestro, decretandone il futuro successo mondiale.

Non è difficile capire il motivo per cui, inizialmente, la Traviata venne rigettata e, da alcuni, catalogata addirittura come volgare. Abituato ai suoi drammi storici, ambientati in epoche lontane, con cantanti in costume a testimoniare l’apparente lontananza di quelle storie dal mondo dell’epoca, il pubblico di Verdi che, a Venezia, assisté alla prima de La Traviata, si trovò catapultato non solo in una storia vera, anche se, in parte, romanzata, ma, addirittura, raccontata senza filtri storici.

Giuseppe Verdi
Il romanzo e poi opera teatrale a cui Verdi si era ispirato, “La signora delle camelie”, era stato scritto basandosi sulla storia di Alphonsine Plessis, detta Maria Duplessis, una ragazza che, per un certo periodo, era stata l’amante anche dello stesso Dumas figlio. La donna, morta giovanissima all’età di ventitré anni, era una prostituta per uomini di alta società, un’accompagnatrice o, come allora veniva definita una donna che conducesse tale vita, una mantenuta, un comodo eufemismo che voleva abbellire ciò che veniva percepito come volgare.

In un mondo che, sapientemente, ricorreva spesso ad eufemismi per nascondere argomenti scomodi, la reazione del pubblico veneziano fu quasi normale. L’argomento dell’opera venne giudicato scandaloso e il riferimento alla vera storia della donna parigina era così chiaro che le reazioni avverse provocarono un iniziale insuccesso.

Tuttavia, Verdi era sicuro che, in fondo, la storia di quella giovane donna che aveva fatto scandalo nei salotti della nobiltà, avesse in qualche modo colpito il pubblico. Ciò che Il compositore desiderava, era un’opera che avesse “un soggetto pronto, certamente di sicuro effetto”. Un’opera la cui storia toccasse il cuore del pubblico come aveva toccato il suo 3. Un’opera che non potesse essere facilmente dimenticata e che, con il tempo, sarebbe stata giudicata per ciò che realmente era: un capolavoro.



lunedì 10 agosto 2015

Viaggio nell'Opera: Musica e Parole-Parte 3



In precedenza, abbiamo parlato della questione legata alla necessità di tradurre o meno le opere nella lingua del pubblico. Per capire quanto spesso, nella storia dell’opera, l’importanza dei versi originali sia stata considerata inferiore a quella di altri fattori, come composizioni musicali o virtuosismi vocali, risulta necessario analizzare un’altra usanza molto comune nei secoli scorsi. 


Analizzando in particolare la produzione di opere del 1800, è possibile notare l’esistenza di arie sostitutive. Per capire cosa si intenda con questa espressione, chiariamo brevemente, come prima cosa, il concetto di aria


In campo musicale, l’aria è un brano diviso in strofe, spesso composto per un singolo cantante. Portando questa definizione all’interno della storia dell’opera, possiamo aggiungere un ulteriore particolare: nel melodramma, l’aria si contrappone al recitativo. È un momento dell’opera in cui dialoghi e azioni passando in secondo piano, facendo risaltare, in particolare, i sentimenti e le emozioni del personaggio, permettendo allo spettatore di godere di un momento sospeso nel tempo in cui entrare direttamente nell’intimo del protagonista. 


Nel XIX secolo era usanza comune sostituire le arie o i versi originali con alcune riscritte, chiamate appunto arie sostitutive. Queste venivano adattate a musiche preesistenti, acquisendo, a volte, molta più fama rispetto alle originali, almeno inizialmente.


È questo il caso, ad esempio, dell’opera tedesca di Mozart, Die Zauberflöte (Il Flauto Magico). Completata nel 1791, l’opera attraversò un iniziale periodo di impopolarità e venne giudicata ridicola e priva di ogni senso. Questo per quanto riguarda i versi. La musica, al contrario, aveva superato la prova e Mozart era già entrato nella fase di santificazione. La soluzione perfetta fu, quindi, quella di riscrivere totalmente il libretto ponendolo sulla musica già esistente: nuova trama, nuovi versi, nuovi personaggi. Il risultato fu una nuova opera ambientata lungo il Reno, contenente alcuni riferimenti alla Saga dei Nibelunghi, ondine e personaggi che non corrispondono a quelli originali. Il titolo della nuova composizione fu DernKederich, dal nome di un dirupo sul Reno, e, all’epoca, acquisì molta più fama e molto più valore rispetto all’opera iniziale. 


Un altro esempio, più leggero e meno violento, riguarda un’opera di Rossini. Nel 1818, Il compositore italiano portò sul palcoscenico il suo Mosè in Egitto. Nove anni dopo, al momento del debutto a Parigi, Rossini portò in scena un’opera modificata: Moïse et Pharaon. Oltre a tradurla in francese, Rossini riciclò alcuni brani del Mosè in Egitto per la versione francese. Fu così che, ad esempio, mentre nell’opera originale Elcìa, rappresentata da un soprano, canta una cabaletta sulle pene del suo cuore ferito, nel Moïse lo stesso brano, con versi differenti, venne affidato a Sinaïde, moglie di Faraone, nel momento in cui il personaggio festeggiava una felice svolta nella storia. 


Nel Mosè in Egitto, quindi, Elcìa, recitava i seguenti versi:



Tormenti! Affanni! Smanie!
Voi fate a brani il core!
Tutto di Averno o furie
versate in me il furore...Straziate voi quest'anima,
che regge al duolo ancor!




Nel Moïse et Pharaon, l’aria assume tutt'altra forma:


Che cosa sento! O dolce ebbrezza,
è fedele all’onore; io devo alla sua tenerezza la calma del mio cuore;Dei, proteggete senza sostaLa sua gloria e la sua felicità!



Questi esempi dimostrano che almeno una parte della musica operistica sia potenzialmente mutabile e adattabile a diversi contenuti. Così, per esempio, una composizione che sembra perfetta per un testo sull’amore perduto, suscitando emozioni e sentimenti in tal senso, potrebbe funzionare anche con un testo diverso.



In un’epoca in cui si ha profonda riverenza per i classici, ritenendoli quasi sacri, sembra assurdo pensare che, poco più di due secoli fa, si potesse giocare in maniera tanto varia su testi e libretti che, infine, hanno costruito la storia dell’opera lirica. Nel passato era normale scrivere arie sostitutive quando un’opera veniva ripresa con un nuovo cast, rendendola quindi più adatta all’abilità dei nuovi cantanti. Oggi, invece, nessuno oserebbe fare lo stesso con le opere composte proprio in quel periodo. Il cambiamento culturale è stato così profondo che, forse, è giunto il momento di chiederci per quale motivo, oggi, sia così semplice rimanere scioccati davanti ad un atteggiamento ormai scomparso, lasciando il posto ad una sorta di pessimismo culturale, che ci porta a nascondere i cambiamenti apportati a molte composizioni nel corso del tempo, precludendo la possibilità di conoscere grandi composizioni per venerare le opere originali che, invece, spesso non venivano affatto prese in considerazione all’epoca della loro creazione.

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