sabato 20 febbraio 2016

La Maledizione della Nona: Beethoven e la sua Sinfonia n. 9 in Re minore

Tutti, o quasi, conoscono il club 27, espressione con cui il giornalismo designò l’apparente maledizione che sembrava, e sembra, colpire giovani artisti, specialmente nell’ambito della musica rock, facendoli morire all’età di 27 anni. I più famosi tra questi sono sicuramente Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin, Brian Jones, che furono anche coloro che diedero l’ispirazione per la coniazione del termine Club 27, essendo deceduti in un breve arco di tempo che va dal luglio del 1969 al luglio del 1971. Altri cantanti e musicisti come Kurt Cobain, leader dei Nirvana, Robert Johnson, Cecilia, Chris Bell, Jean-Michel Basquiat e, più recentemente, Amy Winehouse (morta due soli mesi prima del suo ventottesimo compleanno).
Se tutti hanno ancora sentito parlare del Club 27, in pochi, però, conoscono la Maledizione della Nona. Superstizione nata a cavallo tra il 1800 e il 1900, la Maledizione della Nona indicava la cattiva fama legata alla Nona Sinfonia di vari compositori romantici e post-romantici, quali Mahler, Beethoven, Schubert, Bruckner e Dvorák, che sarebbero deceduti, appunto, dopo la composizione di tale ultima sinfonia o, addirittura, prima ancora di compilarla.
Parlando di tale superstizione, Arnold Schönberg, compositore austriaco, scrisse:
È come se la Nona fosse un limite. Chi vuole superarla deve morire. Sembra come se qualcosa ci venisse comunicato attraverso la Decima, che noi adesso non possiamo conoscere, per il quale non siamo pronti. 
Secondo lo stesso Schönberg, la credenza relativa alla maledizione della nona sinfonia, cominciò dopo la morte di Mahler che dopo aver scritto il Das Lied von der Erde, ovvero la sua nona sinfonia, iniziò a lavorare sulla decima, lasciandola però incompiuta, morendo dopo averne scritto solo il primo movimento. Qualcosa però già si muoveva. Mahler stesso credeva nella maledizione, ma essendo riuscito a completare la nona e a iniziare la decima sinfonia, credeva di essere scampato allo stesso destino che era toccato a Beethoven e a Bruckner prima di lui.
In effetti Beethoven fu proprio il primo a morire poco dopo aver composto la sua nona sinfonia o sinfonia corale. Iniziata nel 1822 e terminata nel 1824, quindi solo tre anni prima della morte di Beethoven stesso, l’opera 125 del compositore tedesco venne presentata per la prima volta il 7 maggio 1824 al Theater am Kärntnertor di Vienna. Assieme alla quinta sinfonia o sinfonia del destino e alla sesta sinfonia o sinfonia pastorale, la nona è in assoluto la composizione di Beethoven più conosciuta. Ciò che la rende ancora più geniale rispetto alle precedenti, tuttavia, è il fatto che, quando la compose, Beethoven era già totalmente sordo. Il compositore aveva passato quasi metà della sua vita a combattere contro la crescente sordità. Caduto in depressione per via della malattia, aveva tentato addirittura il suicidio. A permettergli di continuare a lavorare, fu la sua grande passione per la musica e la sua pignoleria, che lo portò a comporre molte meno opere rispetto a altri compositori famosi, ma con melodie più ricercate, tecnicamente più perfette. Soprattutto la necessità di comunicare. 
La sinfonia venne inizialmente commissionata nel 1817 dalla Società Filarmonica di Londra e, nel primo abbozzo, chiamata Allemande. La nona sinfonia non nacque a caso, ma venne creata, in parte, a partire da altri brani di Beethoven. Strutturalmente la nona sinfonia non è, come alcuni pensano, un esperimento, tra l’altro molto ben riuscito, realizzato da Beethoven. Già nel 1808, quindi più di 10 anni prima, il compositore aveva prodotto un concerto per pianoforte, la Fantasia Corale, realizzato su due movimenti: il primo per il solo pianoforte, mentre nel secondo si aggiungevano l’orchestra e, nella parte finale, un coro e dei solisti che cantavano un tema precedentemente suonato strumentalmente. In questo modo veniva creato un culmine sufficientemente maestoso dell’opera. Beethoven fece lo stesso con la nona sinfonia: introdusse la medesima melodia, che poi sarebbe stata cantata, nel finale del quarto e penultimo movimento. Mentre il quinto, l’ultimo, oltre che dell’interpretazione orchestrale avrebbe goduto dell’interpretazione tenuta da un coro di soprani, contralti, tenori e bassi e da quattro solisti: un soprano, un contralto, un tenore e un baritono.
La nona sinfonia è composta appunto da cinque movimenti.
Il primo movimento, allegro ma non troppo, un poco maestoso si apre su un tremolo di archi, da cui nasce un tema musicale molto potente e solenne, su cui si basa l’intero movimento, che si chiude con un tono in Re maggiore, invece che in Re minore come nell’incipit e come suggerisce il nome stesso della sinfonia.


Il secondo movimento è invece quello che, musicalmente, viene definito uno scherzo, una sorta di minuetto, ma molto più agile e veloce. Normalmente lo scherzo costituisce il terzo movimento di una sinfonia, ma in alcuni casi prende il posto del secondo movimento, soprattutto quando si tratta di dover alleggerire la composizione, come nel caso della nona sinfonia di Beethoven. Il secondo movimento, anch’esso in Re minore, presenta un tema di apertura somigliante al primo movimento e introduce l’assolo di timpani. Il suo moto vivace, fa da stacco perfetto tra la maestosità del primo movimento e il tempo adagio e cantabile del terzo.


Quest’ultimo, allo stesso modo, spegne un po’ l’impetuosità dei movimenti precedenti, preparando l’ascoltare al riemergere della solennità nell’ultimo movimento, il famoso finale corale che riprende e rielabora, introducendo le voci, lo schema della Sinfonia stessa. 


Il quarto movimento, infatti, inizia, con una lenta introduzione e con gli archi che riproducono il tema principale, poi ripreso anche dalle voci, che continuano nel secondo pseudo movimento, nello stile alla turca. Di nuovo vi è un momento di lentezza che inizia con un andante maestoso e si finisce con un allegro energico che torna sui temi del primo e del terzo movimento.


La nona sinfonia si stabilisce come il capolavoro assoluto tra le composizioni di Beethoven e, forse, tra tutta la musica classica, non solo per la genialità del compositore stesso, ma anche perché Beethoven, per anni, cercò di musicare il famoso Inno alla Gioia di Schiller, senza mai ottenere un risultato che potesse veramente convincerlo. Beethoven continuò a fare tentativi e proprio quell’ultimo studio, che entrò a far parte della nona sinfonia, proprio quell’ultimo tentativo realizzato senza più la facoltà di poter stabilire quanto davvero potesse essere valido il suo lavoro, fu quello giusto, quello che egli scelse per comunicare il suo desiderio che nel mondo esistesse una fratellanza universale. Beethoven, infatti, non scelse la poesia di Schiller a caso. L’Inno alla gioia era un’ode non a un emozione intesa come semplice spensieratezza, ma a un sentimento raggiungibile solo tramite un percorso graduale, raggiungibile solo quando l’uomo riesce a liberarsi dall’odio e dalla cattiveria.

Nel 2001 lo sparito della nona sinfonia e il testo della poesia di Schiller, integrato da Beethoven per adattarsi alla sua composizione, sono stati dichiarati Memoria del mondo, entrando a far parte del programma dell’Unesco che si propone di tutelare documenti e archivi storici.

1 commento:

  1. Ciao, hai però dimenticato di dire che il tema fondamentale della 9, quello che tutti conoscono e cantano, è copiato dalla k222 di mozart... quindi bravo mozart ancora una volta

    RispondiElimina